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ELOGIO DELL’INSUCCESSO

Articoli, Direzione e Strategia, Innovazione

 

Nel mondo del management si è sempre coltivato il mito del successo, inteso come raggiungimento degli obiettivi.
In uno scenario stabile, avere insuccesso significava, avere fallito, non avendo valutato correttamente le variabili progettuali.

Ma lo scenario competitivo oggi è mutato: continui cambiamenti differenti l’uno dall’altro, assenza di prevedibili scenari futuri, molteplici fattori da valutare, contraddittorietà delle informazioni a disposizione.
In uno scenario simile si perde la dicotomia successo / insuccesso.

Se da una parte resta comunque salda la validità del concetto di successo (bisogna vincere e non partecipare), questa acquisisce valore nel suo significato strategico, ma non tattico. Se l’orizzonte è volatile, incerto, complesso ed ambiguo le caratteristiche fondamentali saranno la flessibilità, la velocità, l’esplorazione veloce, il rapido affondo e l’altrettanto rapida ritirata.

In uno scenario incerto bisogna provare, tentare velocemente, acquisire informazioni rapide, essere veloci nell’acquisire esperienze più di quanto siano veloci i fattori dello scenario nel mutare: se si conosce quello che si deve trovare, allora si ricerca, ma se non si conosce cosa si ha davanti allora si esplora. Nel mix di indeterminatezza e velocità dello scenario attuale l’insuccesso tattico assume le vesti di strumento base del successo strategico.

“Genio è colui che sbaglia il più alto numero di volte nel minore tempo possibile” diceva Einstein. “Il fallimento è l’opportunità di poter riprovare in modo più intelligente” diceva Henry Ford.  Nel mondo dell’innovazione tecnica, per esempio, l’insuccesso è sempre stato fondamentale per testare ipotetiche direzioni di lavoro.

L’innovazione infatti, per sua definizione, non ha davanti a se un percorso definito e nemmeno un traguardo specificato. Se quindi l’insuccesso, al pari del successo, diventa elemento base della logica imprenditoriale, diventano necessarie due osservazioni.

La prima è che l’elemento che accomuna successo e insuccesso è il movimento. Se mi muovo ottengo un risultato, positivo o negativo che sia. Ma il movimento, culminato in un insuccesso, mi ha fatto comunque acquisire esperienza e conoscenza, permettendomi, come diceva Henry Ford, di riprovare in un modo differente e migliore. Solo stando fermo non ho successo o insuccesso, non imparo e non esploro. Nello scenario attuale, quindi, la dicotomia non è più successo / insuccesso, ma movimento / immobilità. Non il risultato di un’azione, quindi, misura l’operatività aziendale, ma il movimento o l’immobilità.

La seconda osservazione riguarda la possibilità di sbagliare e le sue conseguenze. Se è vero che l’errore ci permette di esplorare ed imparare, è altrettanto vero che non sempre l’errore è ammesso. Ci sono situazioni in cui, come diceva il capo del team di Apollo 13, “failure is not an option”. Il pilota di un aereo passeggeri può sbagliare liberamente, ed anzi deve farlo, ai comandi di un aereo in un simulatore di volo  ma non può certo provare e sbagliare un atterraggio con centinaia di passeggeri. Appare quindi fondamentale che sia chiaro, a tutti i livelli dell’organigramma, il confine tra la zona di errore, sinonimo di movimento ed esplorazione, e dove l’insuccesso è un’opzione non contemplabile e gli errori sono errori, gli insuccessi fallimento: si tratta quindi di avere chiara la distinzione tra insuccesso tattico e insuccesso strategico.

Che si tratti quindi dell’imprenditore o del magazziniere, del direttore generale o del venditore, ognuno, misurerà le proprie capacità esplorando, sperimentando, e fallendo, all’interno della propria zona di errore, acquisendo esperienze e conoscenze delle dinamiche in cui si trova.

In uno scenario come quello attuale spesso si capisce poco di cosa sta accadendo, e l’unico modo per saperlo è provare, accettare l’insuccesso e capire quindi che quel modo non funziona, registrando intanto quest’informazione.

Ma quando parliamo di movimento, insuccesso, zona di errore, non parliamo altro che di una cosa: innovazione. Molto più ampio di un concetto che riduce l’innovazione aziendale alla semplice innovazione tecnica o di prodotto, essa significa esplorare l’intera zona di errore disponibile, sommando velocemente insuccessi tattici per arrivare al successo strategico.

Questo concetto di dinamismo e innovazione deve ormai permeare ogni livello dell’organigramma aziendale.
Si tratta quindi di rielaborare la scala di valori aziendale. Non si apprezza chi non sbaglia,  ma chi tenta in continuazione. Non si critica chi non ottiene il successo atteso, ma chi sta fermo per non rischiare. Questo presuppone un forte cambiamento culturale nella valutazione delle persone, ma anche nei criteri di controllo di gestione e nel sistema premiante.

In molte aziende, fortemente innovative, si stanno già sperimentando sistemi premianti tesi a disincentivare l’immobilismo:  premiando il dinamismo e l’esplorazione, si mette sullo stesso piano successo e insuccesso, ma sempre in movimento.

Si cominciano anche a modificare budget e obiettivi. Obiettivi non solo di raggiungimento di determinati valori quantitativi, ma obiettivi di “insuccesso” cioè di tentativi. Per il controllo di gestione, basato da sempre sul dualismo obiettivo raggiunto / obiettivo non raggiunto, si tratta di una sfida culturale ed operativa rilevante.

Ma è una sfida importante anche nella selezione delle persone, dove ormai si parla di contrapposizione tra competenze statiche e competenze dinamiche, cioè curiosità, capacità di cambiamento, di esplorazione, di accettare l’insuccesso tattico per perseguire il successo strategico.

Per rimanere allineati e competitivi nello scenario attuale, all’azienda è richiesta l’adattabilità, che richiede esplorazione, che a sua volta richiede di accettare, gestire e sfruttare l’insuccesso.

 

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